L'isola d'Ischia, che separa il golfo di Gaeta da quello di Napoli ed è separata, da uno stretto canale, dall'isola di Procida, non è che una montagna a picco, la cui cima bianca e folgorante immerge i denti scheggiati dal cielo. I suoi fianchi scoscesi, solcati da vallette, da burroni, letti di torrenti, sono rivestiti dall'alto in basso da castagneti di un verde scuro. I pianori più vicini al mare e inclinati sui flutti hanno delle casupole, delle ville rustiche e dei villaggi per metà celati sotto i pergolati delle vigne. Ognuno di questi villaggi ha la sua marina. Si chiama così il piccolo porto dove si dondolano le barche dei pescatori dell'isola e dove ondeggiano alcuni alberi di navi a vela latina (la vela latina è triangolare, stretta e sospesa a un albero leggermente inclinato indietro).
I pennoni quasi toccano gli alberi e le vigne della costa."
L’isola della vacanza globale, bella, bellissima, affascinante, proteiforme, schietta, dal cuore grande, è tra le più frequentate località del mondo. Perché? Perché il relax qui è fatto di pulsioni che coincidono con gli elementi primordiali, e s’intrecciano con le testimonianze che l’uomo vi ha lasciato nei secoli: dai muri a secco, costruiti pietra su pietra, con blocchi di tufo giallo e verde, che delimitano i campi; alle architetture arabesche e tirreniche dei borghi. Ischia è l’isola più estesa e popolata del Golfo di Napoli. Occupa da millenni una posizione di rilievo sulle rotte di navigazione nel bacino centrale del Mediterraneo e, in particolare, i Greci d’Eubea decisero di realizzarvi il primo insediamento durante la loro colonizzazione dell’Occidente, nell’ottavo secolo avanti Cristo. È divisa in sei Comuni: Ischia, Casamicciola Terme, Lacco Ameno, Forio, Serrara Fontana, Barano. Ognuno di questi municipi, che si susseguono geograficamente nel tour insulare, è identificato come una stazione termale di cura e soggiorno, per esprimere le peculiarità storiche del territorio, che sono legate alla ospitalità nel segno del benessere. Una caratteristica secolare che si è evoluta negli ultimi decenni con la realizzazione – lungo la costa – di splendidi parchi e giardini balneo-termali, vere e proprie oasi naturalistiche, uniche nel loro genere, realizzate da operatori lungimiranti. Proprio per la sua Natura affascinante, del resto, Ischia (sul cui nome si sono fatte numerosissime ipotesi, circa l’origine) è soprattutto conosciuta, oggi, come l’Isola Verde.
ISCHIA PORTO

Si procede verso la costa, in direzione Ischia Ponte, fino al limitare della colata lavica dell’Arso, ricoperta dalla pineta borbonica, dove si trovano la chiesa e il convento francescano di Santa Maria delle Grazie e Sant’Antonio, e la Biblioteca Antoniana.
Verso Ischia Ponte, conosciuta come l’antico Borgo di Mare medioevale o, in epoca più moderna, come il Borgo di Gelsa, si avverte subito l’importanza del Palazzo del Seminario, dove c’è l’abitazione del vescovo della diocesi ischitana. Fu fondato nel 1741. D’intorno si notano il palazzo della famiglia Lanfreschi di Bellarena e quello della famiglia Lauro. Più avanti, tra le caratteristiche botteghe degli artigiani e dei pittori, la Chiesa Collegiata dello Spirito Santo, fondata intorno al 1570 dai marinai del Borgo di Gelsa: è la sede del culto di San Giovan Giuseppe della Croce, francescano alcantarino (nacque a lschia nel 1654 con il nome di Carlo Gaetano Calosirto e morì a Napoli nel 1734), personalità di grande rilievo nella storia religiosa napoletana del secolo XVIII e patrono dell’isola. A pochi passi c’è la Chiesa cattedrale dedicata all’Assunta o Santa Maria della Scala. Nella prima cappella della navata di sinistra vi è il battistero: la vasca è quella dove fu battezzato il 15 agosto 1654 proprio il futuro San Giovan Giuseppe della Croce. All’angolo della Cattedrale vi è il Palazzo dell'Orologio, con l’orologio pubblico sulla facciata. Nel XVIII secolo era chiamato la Casa dei Parlamentari: era la sede del municipio. Oggi ospita il Museo del mare, ricco di testimonianze della vita dei marinai e dei pescatori isolani.
Il Castello Aragonese, che si scorge subito dopo, è il paradigma della storia locale. Sorge sulla cosiddetta «isola minore»: con essa forma un unicum monumentale e naturalistico. La fortezza fu costruita nel 474 avanti Cristo da Gerone I, sbarcato per aiutare i Cumani nella guerra contro i Tirreni. Ma la sua importanza è tangibile a partire dal V secolo, e si accresce fino a raggiungere il massimo splendore tra XIV e XVI secolo. Il Castello è alto 115 metri, e vi si accede da una strada scavata nella roccia per volontà di Alfonso I d’Aragona (1447 circa): prima c’era solo una scala esterna, che si intravede passandovi vicino in barca. Il collegamento con il borgo antico di Ischia è garantito da un ponte, voluto sempre da Alfonso I. Da visitare la Chiesa dell’Immacolata, barocca, costruita nel XVIII secolo; il Convento delle Clarisse (è del 1575) con il cimitero; i ruderi della cattedrale dell’Assunta, che risale al 1301: nella cripta ci sono affreschi della scuola di Giotto. L’antica cattedrale era a tre navate con cappelle laterali. All’altare in fondo alla navata di sinistra, nel 1509, si celebrarono le nozze tra il condottiero Ferrante d’Avalos e la poetessa Vittoria Colonna, donna di eccezionale personalità che sul Castello creò uno dei più importanti cenacoli di intellettuali del Rinascimento. L’itinerario sul Castello continua con la chiesa ortogonale di San Pietro a Pantaniello del periodo rinascimentale (metà secolo XVI) che conserva ancora tutto il suo fascino. Nelle vicine carceri, durante il periodo risorgimentale, furono detenuti alcuni patrioti. Oggi i locali ospitano mostre e performance artistiche e sono inseriti nel «Percorso del sole» che si affaccia sulle isole di Vivara e Procida, abbracciando il maestoso golfo partenopeo e la baia di Cartaromana, dominata dalla svettante Torre dei Guevara detta di Michelangelo, con le sue sale ricche di affreschi del secolo XVI: ai suoi piedi c’è la chiesetta di Sant’Anna, da cui prendono il nome gli scogli che si trovano a pochi metri. Risale alla prima metà del secolo XVI.
Dalla zona costiera si procede verso l’interno fino alla piazza di Campagnano, con la chiesa parrocchiale di San Domenico nella SS. Annunziata. La piazza è il punto di partenza per escursioni-mozzafiato, verso Piano Liguori e i promontori orientali: paesaggi indimenticabili.
CASAMICCIOLA TERME

LACCO AMENO

Il centro di Lacco Ameno è appunto piazza Santa Restituta: dai tempi remoti conserva una forte peculiarità religiosa, ben evidenziata dalla singolare vicenda dei templi che vi sono stati costruiti e dal percorso spirituale e intellettuale di don Pietro Monti, il prete-archeologo, che ha contribuito a svelare i segreti del passato. Il Santuario di Santa Restituta si distingue per una chiesa cosiddetta «grande», costruita dai Carmelitani con l’annesso convento; e la chiesetta e la basilichetta ricavata da un edificio romano. Nel complesso del Santuario ci sono anche gli Scavi e museo Santa Restituta: sono un esempio di aree di scavo diventate entità museali autonome. Un affascinante museo sotterraneo. Gli scavi mostrano le tracce lasciate dall’uomo nell’intrecciato succedersi delle culture del passato: è uno spaccato visivo della storia isolana, dalla preistoria al periodo greco-ellenistico-romano fino ai resti del primo cristianesimo.
Dagli scavi, il passaggio è obbligato al Museo Archeologico di Villa Arbusto, grazie al quale la mitica «Alba della Magna Grecia» è diventata una testimonianza visibile. Il museo è suddiviso in sale tematiche che contengono, infatti, anche i più significativi reperti dell’insediamento fondato dai Greci. Le popolazioni dell’Italia centrale mutuarono proprio dai Greci pitecusani l’alfabeto, come testimonia l’epigramma in tre versi inciso dopo la cottura su una famosa tazza che allude, in euboico, alla celebre Coppa di Nestore descritta nell’Iliade. Squarci di un’epoca di traffici intensi e di un’importanza politica forte che cominciò a declinare solo dopo lo sviluppo di Cuma.
Nella piccola Lacco Ameno, dal lungomare Angelo Rizzoli ai dolci pendii collinari, si respira comunque un’atmosfera nobile e popolare insieme, spostandosi fino alla frazione di Fango, con la chiesa di San Giuseppe. Tornando verso la costa, infine, non si può sfuggire alla mole della Torre di Montevico, costruita da Alfonso I d’Aragona (XV secolo) come torre di avvistamento e di difesa contro le incursioni saracene.
FORIO

Dalla via dello shopping e dello struscio, ci si inoltra verso il promontorio del Soccorso. Sulla piazza del Municipio due chiese: San Francesco di Assisi, con l’antico convento (oggi è la sede del palazzo comunale), e l’Arciconfraternita di santa Maria Visitapoveri. Nel chiostro del convento vi sono i resti di pitture raffiguranti episodi della vita di san Francesco e dei suoi primi seguaci, opera del pittore napoletano Filippo Baldi. La confraternita e la chiesa furono fondate verso il 1614 e costituirono il centro di un'intensa attività spirituale e di culto verso la Madonna delle Grazie. L’architettura presenta una caratteristica propria nella duplice facciata: quella della chiesa e quella che chiude il cortile. La chiesa presenta una «summa» del pittore Alfonso Di Spigna. Pochi passi verso il mare, ed ecco la Chiesa del Soccorso, dedicata a Santa Maria della neve, cartolina tra le più belle d’Italia, per la sua tipica facciata. Il sagrato, parte delle pareti laterali, sono rivestiti di maioliche ornamentali, scene della passione di Gesù e vari santi che risalgono al secolo XVIII.
Sul versante collinare si incontrano scorci di rara suggestione e ancora templi religiosi importanti per le caratteristiche storico-culturali. Come nel caso della Chiesa madre del paese dedicata al patrono San Vito, elevata al titolo di Basilica Pontificia. Ha origini antiche: un documento del 1306 rivendica ai Foriani il diritto di patronato sulla chiesa che essi detenevano già da epoca precedente. L’opera più importante conservata è proprio la statua di San Vito, in argento e rame dorato del 1787, opera degli orefici napoletani Del Giudice, su bozzetto dello scultore Giuseppe Sanmartino.
La via Gaetano Morgera, già via Cierco, ospita invece la Chiesa di San Carlo Borromeo, un capolavoro architettonico fatto costruire dai fratelli Sportiello nel 1620. La chiesa è a croce latina con una sola navata ed è singolare per l’uso del tufo verde locale, abituale materiale di costruzione per le abitazioni, qui utilizzato per il portale esterno, gli archi, il cornicione; i pilastri, le basi delle lesene e il rivestimento di alcune cappelle che presentano una mezza valva di conchiglia realizzata con un solo blocco di tufo. Meraviglioso. Tutte le opere pittoriche sono opera del pittore foriano Cesare Calise. Senza dimenticare l’importanza del borgo di Monterone, e della zona panoramica, sull’altro versante, di San Francesco, non si può sfuggire all’arrampicata che conduce quasi alle pendici dell’Epomeo. Qui, ad oltre quattrocento metri sul livello del mare, spicca la Chiesa di Santa Maria al Monte, fondata dalla famiglia Sportiello nel 1596: è proprio al culmine di un percorso immerso in un habitat ideale per gli appassionati di trekking. Da questo strategico punto di partenza, si può scegliere tra un'escursione ai Frassitelli, la terra del vino bianco, o dirigersi al Bianchetto, per raggiungere il bosco della Falanga, oasi di macchia e castagneti, misteriosa e avvolgente, con le sue case di pietra, cantine e antichi ricoveri dei pionieri contadini della zona, tra le quali spuntano le «neviere», le fosse per la conservazione della neve, riconoscibili dalle felci tropicali che vi hanno attecchito lungo i muri a secco di contenimento. Lo scenario è unico. Da qui, la via che conduce alla vetta dell’Epomeo è una traccia da sogno. Dall’alto si dominano le baie, come quella di Citara, con la teoria di arenili fino a Cava dell’Isola e oltre, dalla Chiaia a San Francesco; e, ovviamente, gli abitati periferici, come la popolosa frazione di Panza, punto di riferimento per le escursioni verso Sorgeto, minuscola baia marina e termale (le sorgenti calde sgorgano tra gli scogli: l’acqua delle sorgenti si miscela con quella del mare) e verso Sant’Angelo. Al centro dell’abitato, sull'alto di una gradinata con ampio cortile, c’è la chiesa parrocchiale di San Leonardo Abate. La sua esistenza è documentata già nel 1536.
Altra tappa importante è Villa La Mortella, nel bosco di Zaro, conosciuta come Villa Walton, con il suo stupendo giardino, già considerato il più bel parco d’Italia. Sir William Walton, grande musicista inglese, con la moglie Susana si stabilì nel 1956 a Ischia, e decise di costruire la sua dimora con uno splendido giardino nella zona vulcanica di Monte Zaro, denso di magnetismo e suggestioni. Progettato dal paesaggista Russel Page, il giardino ospita oltre 3000 piante rare. Lady Susana si spostò dall’Argentina in Europa nel 1948, anno in cui sposò William: entrambi, insieme al trio dei fratelli Sitwell, parteciparono a una delle stagioni più significative del Novecento inglese. Il giardino esotico, per quel gruppo, era la «summa» del pensiero estetico, interpretato poi dal genio di Page. Il giardino è progressivo, e i microclimi costituiscono il suo segreto, in un trionfo di biologia e tecnologia. Una grande serra tropicale ospita la più grande ninfea del mondo, la Victoria Amazonica, dai fiori larghi fino a 40 centimetri e foglie-vassoio dal diametro che raggiunge anche i due metri e mezzo. Non lontano dalla Mortella, sempre nel bosco di Zaro, è possibile visitare La Colombaia, villa suggestiva con un notevole giardino di cui fu proprietario il grande regista di cinema e teatro Luchino Visconti, che qui decise di farsi tumulare.
SERRARA FONTANA

Verso Succhivo e le zone interne, s’incontra la chiesa della Madonna di Montevergine, fondata nel 1684 dalla famiglia Mattera. Nel XVIII secolo, per alcuni anni, fu custodita da un eremita. A Serrara la sosta tradizionale è quella intorno alla balconata che si apre al panorama marino e costiero che domina l’istmo santangiolese, e si rivolge alle isole pontine ad occidente ed a Capri, verso sud-est. Nei pressi c’è la chiesa parrocchiale di Maria SS. del Carmine: si compone di due navate. Quella di destra non è che l’antica cappella di San Pasquale, fondata da Natale Iacono nel 1733. Oggi costituisce la cappella di san Vincenzo Ferreri (il suo culto qui è molto avvertito), la cui immagine ovviamente troneggia sull’altare. Procedendo in salita, verso Fontana, a metà strada, spunta il villaggio di Kalimera (dal greco: «bel giorno») e, non lontano, quello di Noia, altro nome di chiarissima etimologia greca (significherebbe «luogo alto - terra di sopra»), che nasconde alle spalle il sito di un antichissimo abitato. In questa zona, va detto, è stata trovata una grande quantità di reperti fittili che vanno dal III secolo a.C. all’VIII d.C. Fontana è un antico villaggio medioevale del quale si parla già nei Registri Angioini del 1270 e in un monumento marmoreo del 1374 del vescovo Bussolaro, proveniente dalle fabbriche fatte da questo costruire a Noia. Da questo punto, l’emozione si moltiplica puntando gli occhi alla cima dell’Epomeo con l’Eremo di San Nicola, raggiungibile tra itinerari di fenomenale bellezza a piedi o a dorso di mulo. La vetta è un enorme masso di tufo verde nel quale sono scavati i locali dell’ex eremo e la chiesetta dedicata a San Nicola di Bari. Risalgono al secolo XV, ma ebbero un momento di grande fervore dal secolo XVIII, quando vi soggiornarono eremiti famosi, come fra’ Giorgio il Bavaro e il governatore dell’isola Giuseppe d’Argouth di origine fiamminga: sono rimasti qui fino alla seconda guerra mondiale.
BARANO D'ISCHIA

Costeggiando le Pianole, la pianura ancora coltivata a mele e alberi da frutta, ci si avvia verso il Vatoliere, con il suo profondo vallone vulcanico, il mitico «fosso», poco dopo la chiesa di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori: da qui si può procedere per un trekking fino a Chiummano, a picco sul mare, e percorrere la mulattiera che conduce al lido ciottoloso della Scarrupata. Proseguendo, c’è il borgo di Piedimonte, anticamente Piejo, con la chiesa di Santa Maria la Porta, un tempo dedicata all’Immacolata. Si va poi in salita, verso la frazione di Fiaiano da dove nel 1301 sgorgò la lava vulcanica che creò la zona dell’Arso d’Ischia. C’è una bella pineta, e poi ci inoltra nell’oasi boscosa del Cretaio con la fonte di Buceto, una destinazione obbligata per i camminatori, grazie a un percorso attrezzato. La strada per il Cretaio, che si apre alla veduta del golfo di Napoli, si snoda in mezzo ai castagneti fino alla suggestiva chiesetta rurale del Crocifisso, costruita dalla famiglia Menga nel 1731. Visitando invece il centro di Barano, il capoluogo, s’incontrano la chiesa parrocchiale di San Sebastiano Martire, eretta forse alla fine del secolo XVI, e la chiesa di San Rocco, restaurata di recente. Sul fronte opposto del territorio comunale, non bisogna tralasciare il Santuario dello Schiappone, dedicato alla Natività della Madonna, un antico eremitaggio fondato nel secolo XVII dalla famiglia Siniscalchi. La chiesa, all’inizio del secolo XIX, fu decorata da stucchi da Domenico Savino, mentre l’altare e la balaustra di marmo sono del secolo XVIII. Da qui, altra tappa essenziale, è il promontorio di San Pancrazio con la cappellina dedicata al santo che ha dato il nome al luogo: si affaccia su uno scenario naturale davvero straordinario di costa scoscesa e macchia mediterranea.
GUSTO
Espressione di una terra molto fertile, vocata all’agricoltura e alla viticoltura soprattutto, la gastronomia ischitana deve tutto alla formula di cucinare «alla cacciatora» il coniglio ruspante, che è allevato in fosse scavate nel tufo o nel lapillo dei fondi rurali, e in gabbie. Viene anche catturato nei boschi dove vive tuttora allo stato brado, in un contesto ambientale ricco peraltro di funghi porcini straordinari, more, corbezzoli, asparagi. La ricetta è entrata negli annali dell’alta cucina. In tavola prevalgono i profumi degli aromi dell’orto e selvatici quali origano, mentuccia, rosmarino, aneto, timo, maggiorana, ma anche le molte erbe che crescono spontanee: bietola, rughetta, melissa, borragine. Antica e consolidata è l’eccellente tradizione del pane cotto a legna che, un po’ ovunque, è possibile acquistare presso i maestri fornai. Gli innumerevoli tesori ischitani del gusto sono accompagnati da una millenaria produzione di vino a denominazione d’origine controllata da parte di numerose aziende che lo esportano anche in Italia e all’estero. La fortuna del vino è legata ad alcuni vitigni nobili denominati Biancolella, Forastera (è stata introdotta nel 1850 ed è diventata una peculiarità del territorio); Rilla, per i vini bianchi; Guarnaccia e Per’ e palummo, variante locale del Piedirosso, per i rossi. Di rilievo, anche San Lunardo, Cannamelu e altri vitigni autoctoni, ma non mancano le coltivazioni di Fiano, Aglianico e uve speciali utilizzate per produrre blend di prestigio. Da secoli, inoltre, sulle colline dell’isola si allevano capre e pecore, dalle quali si ricavano latte e formaggi; ed ancora, buoi, cinghiali, e moltissimi maiali, grazie ai quali è stata rilanciata la produzione di insaccati. La prevalente cultura rustica è rafforzata dalle coltivazioni di tutte le specie di vegetali: fagiolini di diverse tipologie (rari, quelli «a spaghetto»), broccoli, melanzane, zucchine, patate, carciofi, peperoni. Non mancano lenticchie, piselli, cicerchie e fagioli, questi ultimi nelle curiose e varietà denominate zampognari, maculati dal colore rosso porporino, ideali per le zuppe; tabacchini, e fascisti, piccoli, allungati e dalle sfumature bianche e nere. Il suolo vulcanico favorisce la crescita dei pomodori, che sono abitualmente raccolti in grappoli ed intrecciati uno sull’altro per formare i caratteristici pendoli, poi conservati in luoghi areati e asciutti per l’inverno. Trionfale, appare poi la frutta coltivata nei giardini: arance, limoni, mandarini, mandaranci, mele, pere, prugne, fichi, pesche, albicocche; e poi olive, dalle quali si ricava anche un ottimo olio. Diffusa anche la produzione di miele. Lungo le coste, l’attività dei pescatori fornisce ogni giorno, seguendo le stagioni, una buona quantità di spigole, saraghi, pagelli, orate, rombi, merluzzi, piccoli tonni, pesce azzurro; e poi gamberi, calamari, totani e aragoste che, con i pesci meno pregiati, finiscono in tavola secondo un ricettario semplice e saporito.
Il coniglio all’ischitana
«Il coniglio insieme a una testa d’aglio intera, viene rosolato a tocchi nella sartana, la tradizionale padella di rame. Dopo la rosolatura, viene trasferito nel “tiano”, pentola di terracotta, particolarmente indicata perché uniforma il calore della fiamma e mantiene l'umidità. Si aggiungono quindi vino bianco, pomodorini e un rametto di timo. A cottura ultimata, l’intingolo è insaporito con basilico e prezzemolo, mentre le interiora, in particolare ‘mbrugliatelli e fegato, considerato uno dei pezzi più pregiati, precedentemente pulite e messe a bagno in acqua, limone e vino, sono cucinate (vengono aggiunte dopo la fase di rosolatura) avvolte nel prezzemolo. Il sugo che si ottiene al termine della cottura è utilizzato per condire la pasta».